di Luca Masaracchio
Tre interventi particolari di decostruzione che hanno visto impegnati uomini e mezzi sull’Autostrada A 19 Palermo-Catania. Noi siamo andati a vedere le fasi dell’operazione.
Siamo a stati a Scillato (Palermo), nella valle del Torrente Imera attraversata dai due viadotti omonimi dell’Autostrada A 19 “Palermo-Catania”: 41 campate, per 2360 m, investiti il 10 aprile 2015 da un movimento franoso, sviluppato sul fronte monte-valle, su 800 m per una larghezza di 200 m circa, con un volume stimato in 1,5 milioni di metri cubi, che ha danneggiato l’Imera – in direzione Catania – facendolo incastrare al di sotto di quello gemello.
Per fronteggiare la situazione, sono stati realizzati tre interventi: decostruzione della carreggiata in direzione Catania, adeguamento della sottostante S.P.24 alla circolazione del traffico autostradale in variante e realizzazione della bretella di innesto con l’autostrada.
Prima di intervenire sul versante in frana, è stato impiantato un sistema integrato di monitoraggio topografico e geotecnico, per tenere sotto controllo la frana in continuo movimento.
La prima fase dell’intervento di demolizione si è sviluppata realizzando lavori di risagomatura del fronte in frana, in cui sono entrati in azione il personale (variabile da un minimo di 6 ad un massimo di 30 unità) ed i 18 mezzi dell’Impresa Mazzei Salvatore srl di Crotone, specializzata in interventi di demolizione (affidataria dei lavori da parte dell’Anas spa). Un tris di escavatori cingolati: Hitachi Zaxis 240, Komatsu Pc 340 Nlc e New Holland E 215 B ha iniziato a costruire una serie di piste ed a realizzare un ampio piazzale prospicente il viadotto, movimentando un notevole quantitativo di materiale su alcuni Iveco Eurotrakker ed un dumper Perlini DP 205, coadiuvati da un dozer New Holland D 145 e deponendolo verso fondo valle; in ausilio anche due escavatori midi Caterpillar Cat 308 e Takeuchi Tb 016 ed una minipala compatta TL 140 sempre del costruttore giapponese, oltre ad alcuni autocarri Iveco medio-piccoli.
Il viadotto Imera è stato oggetto di una demolizione controllata, che ha riguardato le sei campate comprese tra le pile 16 e 22.
La prima campata, compresa tra la pila 21 e la pila 22, è stata demolita con metodi tradizionali nel mese di ottobre al fine di consentire l’apertura al transito della nuova bretella inaugurata il 16 novembre u.s..
Sono stati utilizzati il piccolo Tacheuchi Tb 016 con martello demolitore per perforare le solette, opportunamente imbracato – per motivi di sicurezza – tramite catene al braccio di un’autogrù fuoristrada Locatelli 827, seguito dal Komatsu (stavolta zavorrato posteriormente) ed equipaggiato con la pinza frantumatrice Mantovani MBI per le travi; in precedenza al di sotto dell’impalcato era stato creato un letto col materiale proveniente dagli scavi per attutire l’impatto al suolo delle travi in cemento armato precompresso da 120 tonnellate ciascuna (alte 3,5 mt), in modo da permettere l’avanzamento degli altri lavori sul fronte della bretella, salvaguardando oltre al viadotto da demolire, quello contiguo e le altre opere della viabilità locale preesistente.
Un’operazione senza precedenti
Il 19 dicembre 2015 è stato dato il via ad un’operazione di ingegneria senza precedenti, progettata dalla Misiano Ingegneria di Crotone per conto dell’impresa affidataria: ad illustrarci i dettagli l’Ingegnere Federico Murrone dell’Anas spa, esperto in materia, tra i tanti lavori seguiti nel corso della sua carriera nell’azienda delle strade numerosissime demolizioni di viadotti ed opere d’arte anche di notevoli dimensioni sull’Autostrada A3 Salerno – Reggio Calabria, sia con metodi tradizionali sia per numerose opere con l’uso di microcariche esplosive, è il Responsabile Unico del Procedimento per tutti i lavori inerenti l’emergenza Imera, in cui l’Ing. Salvatore Campione ha svolto il duplice ruolo di Direttore dei Lavori e Coordinatore per la Sicurezza.
Le operazioni di tiraggio e raddrizzamento graduale del viadotto, si sono sviluppate in un’unica fase di 48 ore, tramite un sistema creato mediante aggancio su cinque blocchi di ancoraggio costruiti nel corpo di frana, tre blocchi principali di tiro ciascuno fondato su 9 pali con diametro 1,2 metri e profondità 33 metri e due blocchi laterali di stabilizzazione, in modo da ammorsarsi sul substrato del terreno solido, al di sotto dello spessore della coltre in frana.
I blocchi di tiro sono stati collegati tramite una struttura reticolare composta da funi multitrefolo (speciali cavi d’acciaio) avente uno sviluppo di 19 mila metri, la struttura reticolare è stata a sua volta agganciata a catene di grosse dimensioni presenti sia sui blocchi che sui pulvini, su cui il miniescavatore Tacheuchi con martello demolitore, sempre ancorato al braccio dalla sommità dell’autogrù, ha praticato i fori per il passaggio delle catene; il sistema di tiro è stato portato da livello zero a 360 tonnellate nell’arco delle 48 ore per ciascuno dei tre pulvini centrali. Un altro sistema di cavi stavolta predisposti in diagonale ed ancorato anche ai due blocchi di stabilizzazione, ha esercitato ulteriori 200 tonnellate di tiro su ciascuno dei tre pulvini centrali e sui due pulvini alle estremità, necessari al sistema di forze per impedire spostamenti longitudinali del viadotto, per un totale di ben 2080 tonnellate di tiro complessivo sui cinque pulvini.
Il sistema è stato progettato dall’ing. Salvatore Misiano per poter esercitare anche in modo differenziale il tiro sui singoli pulvini. Si è lavorato in condizioni di assoluta sicurezza e con l’ausilio di un sistema di controllo elettronico, un monitoraggio continuo delle notevoli forze in gioco e dei conseguenti spostamenti dei singoli componenti in direzione X, Y e Z.
Un ruolo non indifferente ha avuto la tipologia dei terreni, la coltre di frana insiste infatti su terreno alluvionale o coltre detritica completamente rimaneggiata, mentre il bedrock – il substrato dai 5 ai 13 metri di profondità – è composto da flysch, formazioni di argilla numidiche, tipiche della Sicilia occidentale; per perforarli e calare le gabbie delle palificate, la società affidataria ha utilizzato delle attrezzature della Link Belt, Soilmec e Casagrande.
Il primo caso in Italia
L’intervento, come ha spiegato l’ingegner Murrone, si caratterizza per le fasi operative, verosimilmente è il primo caso in Italia e probabilmente anche all’estero, in cui è dovuto operare in tal modo per demolire un porzione viadotto lunga 250 metri, che in precedenza si era “accasciata”, quasi incastrata sull’altro gemello, operando dapprima un distacco dei due manufatti, risollevando in posizione verticale quello da abbattere, prima di poter iniziare l’operazione di demolizione vera e propria.
Il sistema progettato per garantire tutte le condizioni di sicurezza sia per gli operatori che per l’altra campata è unico nel suo genere, e questa necessità ha indotto lo staff tecnico di committente ed impresa a riformulare il progetto esecutivo in fase di cantiere, aumentando notevolmente la capacità e la metodologia di tiro massimo per avere il massimo livello di sicurezza e un beneficio finale su tutta l’operazione.
La location del cantiere è stata peculiare, oltre che per la vastità dell’area di frana, anche per la conformazione orografica e morfologica, ma anche per le condizioni meteorologiche tipiche delle zone di montagna.
La demolizione è stata portata a compimento, dopo il tiro di raddrizzamento del viadotto e distacco da quello adiacente, tramite microcariche di esplosivo poste in 200 fori praticati alla base di ciascuna pila – ognuna delle quali a sezione cava, con corona di diametro esterno di 3,60 metri ed interna di 3,20 metri. Per i 2/3 della circonferenza del coronamento rivolti sul lato in frana, sono stati praticati i fori per l’alloggio dell’esplosivo con interasse di 50 cm, riempiti con cariche di esplosivo plastico da 200-250 grammi, innescati in maniera temporizzata: la sequenza prevedeva dapprima lo scoppio dei fori più in basso, inclinati di 30 gradi verso l’interno per permettere la formazione della rinora che ha aperto una prima finestra nelle pile, quindi le sovrastanti cariche per aprire e ridurre la sezione del calcestruzzo, provocando così il collasso per inflessione mediante uno spacco di 4 metri x 3,80 metri sul fianco della pila; gli operatori hanno utilizzato per la preparazione anche un sollevatore telescopico New Holland LM 1745 Turbo, a suo agio tra gli insidiosi terreni madoniti ed una piattaforma Haulotte Ha 18 Spx.